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      Si promise riunirsi in altra città del regno, se si scampasse la libertà e la vita; si fece giuramento e si segnò. Sessantaquattro rappresentanti restavano ancora nella Camera, sessantaquattro firmarono l'atto. Il Comitato di pubblica salute, troppo tardi creato, impossente ad esercitare alcuna funzione, aveva abdicato e si era confuso al resto dell'assemblea. Tutti raccolti perciò ed assisi nel fondo della sala, tutti silenziosi aspettavano la lugubre soluzione del dramma e la sentivano ad ogni minuto approssimare. Le tenebre della notte che avanzava, la luce sinistra dell'incendio che tingeva di colore sanguigno parte delle mura, davano agli affreschi della sala una espressione feroce, e ne accrescevano la vastità. I deputati, che come ombre immobili ed inanimate disegnavansi nel buio e lo rianimavano di una vita lenta ed assopita, i gridi feroci dei vittoriosi, i lamenti disperati di femmine che imploravano mercede pei figli e per l'onore, il fragore incomposto, spaventevole di una plebe che bravava le fiamme per saziare l'avidità, che cantava su i ruscelli di sangue, quello stato indefinibile infine di una città fulminata dall'ira dell'uomo, più raccapriccevole dell'ira della natura corrucciata, quell'atmosfera insomma di morte e di orgia, accrescevano l'orrore della situazione. I soldati giunsero infine innanzi le porte dell'assemblea. Erano gli svizzeri ed i soldati della marina. Tinti di sangue, brutti di sudore, di fumo, di vino, convulsi di ferocia e di entusiasmo, essi avrebbero voluto consumare intero il delitto e suggellarlo sull'assemblea.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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