Gli uffiziali, che altro ordine avevano ricevuto dalla corte, nol permisero. Perciò un capitano svizzero, con la spada sfoderata, si presentò nella Camera, e senza salutarla, senza scovrirsi il capo, brutalmente disse: "in nome del re, che vi fa salva la vita, ritiratevi". Nessuno rispose: niun atto di commozione tradì la passione interiore da cui ciascuno era travagliato. Si uscì dalla sala, ed a gruppi a gruppi, accompagnati dalla gendarmeria, per isfuggire alle violenze dei soldati e della plebaglia, perseguitati dai gridi di viva il re, abbasso la costituzione, guadagnò ciascuno il domicilio che credette più sicuro. La notte intanto non pose termine alla strage. Al lume dei portoni, delle case e delle barricate che ardevano, gavazzavano plebe e soldati. Quivi trascinavansi le vittime che andavansi scovando per le case, e parte sgozzavansi, parte inviavansi alle prigioni, spogliavansi e svillaneggiavansi tutti. Quivi si portavano le prede che facevansi ovunque; e quelle prede dividevansi se ricche, o donavansi ai più poveri plebei se di poco pregio. Quivi si cioncava, si mangiava. Un abito di guardia nazionale, un moschetto, un foglio del Mondo vecchio e Mondo nuovo, o i peli sul volto, bastavano per far condannare un uomo alla morte, e immediatamente eseguivasi. Il generale della guardia nazionale, Gabriele Pepe, svillaneggiato, percosso, era tratto nella piazza della Carità, e forse l'avrebbero fucilato se non veniva in soccorso un ufficiale che lo strappò dalle mani de' manigoldi.
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