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      A tutte le finestre vedevansi sciorinati bianchi lenzuoli, il che serviva ad isfuggire più completa rovina. E quei bianchi drappi lievemente dal vento agitati, come stendardi di lutto, davano alle strade, ingombre di avanzi che bruciavano ancora, ingombre di cadaveri, di rottami di ricca mobiglia, davano un aspetto più lurido e più orrendo. Era una protesta tacita, ma mortale. Uno stuolo di plebe lacera, ignuda, scalza, avvinata, correva da per tutto, preceduta da un cencio bianco benedetto da D. Placido, il tristo Santone che parla ogni notte con San Luigi Gonzaga e con la Madonna, ed all'indomani racconta il soggetto della conversazione alla plebaglia. Questa, armata ed inanimita nel dì precedente da lui, per suo consiglio percorreva adesso le strade al solito grido di viva il re, e morte ai liberali, e recavasi alla chiesa del Gesù vecchio a cantare un Tedeum. Gruppi di soldati poi che da trionfatori percorrevano le vie: carri funebri che conducevano ai cimiteri i cadaveri dei militari e lasciavano esposti ai cani quelli dei cittadini: uomini della polizia o domestici che restituivano le armi domandate ai quartieri: qualche raro borghese che il capo giù, rasente il muro, e pallido e tremante andava a richiedere di alcuno dei suoi, cui non sapeva se ancora vivesse, perché a casa non era tornato: le botteghe o chiuse o scassinate e derubate: molti palazzi anneriti dal fumo e picchiettati di palle come un volto è butterato dal vaiuolo: qualche tristo infine, che con un fiore bianco all'occhiello dell'abito, sorridente e soddisfatto passeggiava lentamente, insultando il pubblico lutto, e distribuendo evviva ai soldati; gli elementi i più impuri in una parola esposti alla luce come i rospi che vengon fuori dopo la pioggia che infanga le vie; tale era l'aspetto della misera capitale, e tali gli uomini che ci si mostravano all'indomani della catastrofe.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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