Diecissette sotto uffiziali avevan segnata con entusiasmo la nobile professione di fede scritta da Eugenio Quercia, e si erano messi a disposizione del Comitato. Parte di questi disgraziati furono poscia fucilati a Nocera, parte emigrarono. I paesi albanesi ardevano: altri paeselli, i più miseri e dimenticati della provincia, facevano sforzi miracolosi. A proprie spese si armavano, si provvedevano di viveri per un mese, e si mettevano in marcia i primi. Ah! perché la tristizia dei tempi non mi permette di registrare qui i nomi di tutte le anime nobili, che in quei giorni febbrili tanto bene meritarono della patria! Se cedessi alla tentazione, la corona di gloria sarebbe corona di martirio; e chi sa quanti di loro, adesso che io scrivo, sul gelido terreno della prigione rammentano il magnanimo slancio e leniscono le attuali torture con le speranze dell'avvenire! Nonpertanto, malgrado la preveggenza del partito della polizia, la rivolta acquistava proporzioni imponenti. Ciò spaventolli: ed ordini della corte arrivarono, soffocare incontanente le fiamme. Il d'Errico non rinculò.
Il Comitato dei delegati delle cinque provincie si era radunato per discutere sul piano della campagna che andavasi a cominciare, e scegliere il capo. La seduta principiava, allorché il presidente prende la parola e dichiara sciolto il Comitato, sciolte le masse armate che nella città agglomeravansi. Un grido unanime, un grido terribile scoppiò allora nella sala: e la parola traditore, mista ad imprecazioni e minacce, fu la sola che si udì. Il d'Errico profitta della confusione, e si salva per correre a toccare dal capitano della gendarmeria la paga del tradimento.
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