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      Ma tutte le angosce, tutte le convulsioni e le determinazioni parziali languirono. Le altre provincie diffidarono, subirono la paralisi dell'isolamento. L'una cominciò a sperare nell'altra; nessuna volle risolutamente pigliare l'iniziativa: la collera si calmò: il primo bollore s'intiepidì. Allora la riflessione assunse le redini dell'azione, ed impose silenzio al cuore: il calcolo prevalse sull'affetto; la letargia invase la vita, e, se non l'estinse, l'agghiadò. Ma non l'agghiadò già nel Cilento, dove due settimane di poi le rivolture cominciarono novellamente, sotto l'impulso del Pessolani e del Caputi: non l'agghiadò nelle Calabrie, dove l'ira contro la monarchia può sonnacchiare talvolta, morire non mai.
     
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      36. Le Calabrie non avevano certo fatto difetto all'appello alla vendetta che, pronunziato nella Camera dei deputati, aveva percorsa da un capo all'altro la nazione tutta intera. Però le Calabrie sembravano stanche, e forse tanti esempi anteriori, in cui la loro voce di disperazione non aveva destato alcun'eco, le avevano fatte caute giustamente. Esse risposero al cartello di sfida del governo, ma debolmente e quasi sotto voce. Il barone Marsico uomo leale, ma di poche risorse e di niuna energia, formulò la protesta, con cui esecravasi il colpo di Stato del 15 maggio, e fu dichiarato capo di un Comitato che assumeva il governo. Questo Comitato, composto di elementi eterogenei e non rivoluzionarii, aveva ceduto alle prime impressioni e si era lasciato dominare dalle emozioni che le novelle di Napoli, fatte segnalare per telegrafo dalla guardia nazionale di Salerno il 16 maggio, avevano in loro destate.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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