Il pensiero di unificazione era mancato; e fu davvero una sventura, perché la rivoluzione aveva pigliate dimensioni nobili e grandiose.
Per assicurare l'esito, il parlamento siciliano aveva levato un corpo di ottocento uomini che, sotto la condotta del colonnello Ribotti piemontese, il quale si era battuto in Ispagna nelle file di Don Carlos, doveva passare il Faro e recarsi in Calabria. Molti giovani distinti e delle primarie famiglie, vaghi di fama, si erano arrolati in quel corpo. Un manipolo di artiglieri governava sei pezzi di campagna. La spedizione si raccolse in parte a Messina, desiderando toccar Reggio o Scilla, ed entrar presto in azione. Ma i vapori da guerra, che percorrevano la spiaggia, attraversarono tale disegno. Da un battello siciliano, il Giglio delle Onde, fummo condotti a Melazzo, e quivi, raggiunti quelli che venivano da Palermo, ci imbarcammo sul Vesuvio per cercare di approdare a Paola. Si partì la sera. All'indomani, al rompere dell'alba, già vedevamo le coste calabresi, e già prorompevamo in gridi di gioia; allorché, al levarsi dell'aurora, due punti neri apparvero sull'orizzonte. Il vapore rallentò il cammino. Quei due punti s'ingrandivano, s'ingrandivano sempre più, si approssimavano, e bentosto, come qualche cosa che velava la porpora pura dell'aurora, si spiegava nell'aria. Allora non si dubitò più. Erano due vapori da guerra napolitani che ci venivano su, e che prendevano il largo per tagliarci la strada e chiuderci in mezzo. Il capitano Castiglia si accorse del pericolo, lo rivelò, e, senza metter tempo in mezzo, rivolse la prua e si tornò indietro.
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