Ci arrestammo nelle vicinanze di Stromboli. Senza acqua, senza pane, stivati come acciughe, con un calore soffocante, in vista ad una montagna bruciata, deserta, brulla, toccata dal dito della morte, senza segno di vegetazione, inabitata, si passò una giornata di supplizio. Sul fare della sera una specie di burrasca cominciò. Allora qualcuno cominciò a favellare di ritorno; ed in fatti tra le imprecazioni di tutti, parecchi palermitani, incitati da un tal Bruno, ritiraronsi sul Giglio delle Onde ed immediatamente partirono. Se la tempesta fosse durata, forse noi pure li avremmo raggiunti per cercare ricovero a Melazzo. Ma venuta la notte, la tempesta si calmò: si partì immediatamente, e dopo poche ore eravamo innanzi a Paola. I siciliani non vollero avventurarsi a discendere perché niun concerto erasi preso con quei di Cosenza, perché nulla sapevasi dello stato di Paola. Due uffiziali siciliani e due napoletani andammo ad esplorare. E l'alba cominciava già a spuntare, quando tutto il corpo della spedizione con bagagli, munizioni, vetture e cannoni era a terra, accolto da applausi frenetici di gioia. Due vapori da guerra napolitani giungevano allora; ma il Vesuvio, sotto i loro sguardi, prese il largo e tornò in Sicilia.
Io dovrei qui chiudere questo racconto, perché non mai più storpia cosa fu partorita da più imponente apparato. Ma perché il passato è per i popoli un'eredità di sapienza, di cui debbono render conto, proseguo ed arrossisco.
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37. Accendere una rivoluzione è facil cosa.
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