Il terrore si sparse nella città: da un lato e dall'altro si armarono, si fu in procinto di venire alle mani. Ma chiaritasi bentosto la indegna menzogna, la calma ritornò di bel nuovo qual poteva ritornare in una città, che si attendeva da un momento all'altro ad essere occupata dai masnadieri del 15 maggio. Il vescovo, il capitano della guardia nazionale e qualche altro andarono in commissione a Busacca per invitarlo a venire a Cosenza, e calmarne la rabbia. Il Comitato, i cittadini più compromessi, ed i siciliani uscirono dalla città e si accamparono fuori per aspettare l'indomani e partire. La notte stessa però essi si avviarono verso Catanzaro. Quivi le cose non andavano meglio, perché non erasi meglio di accordo. La spedizione della Mongiana infatti non aveva avuto quell'esito che prometteva, benché si facessero nove uffiziali prigionieri e si prendessero due cannoni. Ippoliti che comandava il corpo dei militi, il quale doveva chiudere in mezzo il nemico agendo di concerto con Stocco e de Riso, ostinossi a restare protestando avere ducati duemila di rendita e non volere altrui obbedire, perciò ottanta artiglieri salvavansi, ed il sussidio mandato da Nunziante prese la larga. Il 27 giugno poi, avutasi novella che i regi da Monteleone si mettevano in movimento, il partito di occupare i passi difficili, per distruggere con pochi uomini le intere bande di Ferdinando, non fu preso. Il Griffo che due giorni avanti aveva segretamente parlato con Carlo Sanseverino, emissario reale espressamente inviato da Napoli, il Griffo disseminò le masse nelle montagne lontane dalle strade che dovevano percorrere i regii, e questi si avanzarono.
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