Ogni accordo fu respinto. Non le lusinghe di nuove concessioni liberali, non le minacce brutali dell'armata che li guardava in cagnesco pronta a sgozzarli, non le provocazioni per le strade e nei caffè, non la certezza della dissoluzione potette su loro: deliberarono sotto le micce accese dei cannoni, con la spada alla gola dei pretoriani di re Ferdinando. Ed il Poerio ardì fino chiamare innanzi al tribunale della Camera il general Nunziante, caro al re ed alla truppa, onde rendere ragione, per mezzo del ministro della guerra, degli atti atroci che commetteva in Calabria e delle guardie nazionali che discioglieva e dei corpi franchi che organizzava. Dragonetti domandò conto delle sevizie che praticavansi ai siciliani, i quali, dopo il tristo esito della rivoluzione calabrese, si erano imbarcati per Corfù, ed erano stati fatti prigionieri dai vapori da guerra napolitani, che per ingannarli avevano alzata bandiera inglese sulle acque greche. Pisanelli e Poerio domandarono che lo scellerato prete Peluso, il quale aveva assassinato il bravo colonnello Carducci e si sollazzava nella Reggia, dove toccava il prezzo del sangue e pattuiva una prelatura, domandavano che la processura fosse istruita e l'assassino punito. Spaventa chiedeva conto della servitù a cui erasi ridotta la stampa. Conforti giustificava la politica tuttodì calunniata del suo ministero, che il re appellava ministero da tagliagole. Massari trascinava innanzi al tribunale di Europa il ministro degli affari stranieri, e l'obbligava a render conto della politica del gabinetto: e questi ebbe l'impudenza di asserire, che il gabinetto era italiano e seguiva una politica italiana.
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