Nel tempo stesso si lavorava a comprimere sempre più i napolitani, i quali avevano osato abbrunarsi dopo la disfatta di Messina. Il soldato cresceva in baldanza ed imperio sul disarmato cittadino; i preti scomunicavano i liberali: la polizia li seppelliva nelle prigioni. Una nuova leva s'imponeva, e con rigore spietato compivasi. La stampa era proscritta affatto da un ukase che sol esso basterebbe all'infamia del Bozzelli, se altri titoli non vantasse a dovizia. La reazione in una parola si esercitava sopra un vasto piano di estirpazione e di distribuzione. Nel più bello però furono colpiti, come Baldassarre nel convito, dalle notizie straniere. Livorno, ristucca dai soporiferi del padre Leopoldo di Austria, aveva domandato risolutamente che si mettesse termine al giuoco della gattacieca, ed ai palliativi infecondi. Poscia si era armata, aveva imposto un ministero che meglio comprendeva le condizioni dei tempi e del paese, ed aveva accolta come suprema salvezza la proposizione del Montanelli. Il granduca aveva dovuto sobbarcarsi e decretare la Costituente italiana. La rivoluzione cominciava davvero; la Costituente era per l'organizzazione della libertà ciò che la guerra dell'indipendenza era stata per la nazionalità. La rivoluzione si rischiarava. Gioberti ferito nel cuore da un'idea che riduceva i suoi sistemi a dimensioni assai meschine, Gioberti a Torino si oppose con veemenza, ed alla vita d'Italia preferì sacrilego feticismo. Gioberti o dimenticava a disegno, o ignorava la storia della penisola, la quale non ha pagina in cui non fosse segnato il martirio di un popolo, consumato dal pontificato romano.
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