La indipendenza americana e la rivoluzione francese ne furono la conseguenza: esse vennero ad emancipare l'intelligenza e la coscienza umana, e vennero a protestare contro le dottrine di Roma, la quale si era resa solidale la monarchia, consacrando il diritto divino. La rivoluzione francese sopra tutte le altre ebbe il carattere di eguagliare e di democratizzare; essa potevasi riassumere nelle parole dette da Lavie nella seduta del 27 agosto 1791: nous n'avons fait la révolution que pour être maîtres des impôts. Essa però era stata inefficace: perché aveva sconosciuta l'opera di Dio e l'opera dei secoli, aveva smembrate le nazioni, storpiate e diseredate le classi sociali. La rivoluzione del 1848 riassunse la missione di completarla. Le nazioni furono omologate, e proclamata la loro autonomia: col suffragio universale si legittimò la sorgente della forza sociale: a tutte le classi, con l'esercizio pieno e vero della libertà, fu restituito uno sviluppo compatibile alla sfera rispettiva.
Lo spirito di questa rivoluzione colpì il pontificato nell'anima. I suoi due principii, l'immobilismo e la estraneità, erano proscritti; quindi annullato. Il pontificato è la negazione del progresso, per la ragione appunto che attinge la vita e la forza nel passato; ed il progresso indefinito è consostanziale, è incarnato al suffragio universale. Il pontificato è la negazione della nazionalità, per la ragione appunto che è cattolico; e la nazionalità era stata la significazione vera della rivoluzione.
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