Ma lo Statuto non era stato mai di ostacolo alla volontà del governo: ed i pari, che avevano coscienza della propria nullità, accolsero la palla al balzo, contenti di potersi dare una volta un tantino d'importanza e far sapere al mondo che esistessero. I deputati potevano e dovevano semplicemente protestare contro il fatto del governo e della parìa, e declinare la loro competenza, se non altro per non sanzionare un precedente funesto, che sovente ha vigore di legge in fatto di procedura parlamentare; ma essi vollero dimostrare che niuno spirito di ostilità preconcepita li dominava, e che se non volevano transigere col ministero, per non dividere la complicità, non erano alieni ad intendersi col capo del potere esecutivo. Proposero quindi una libera conferenza tra i delegati di ambe le Camere, e di attenersi alle decisioni che essi avrebbero emanate. La commissione si accolse: e la condanna del ministero, che non era stata pronunziata prima se non dai soli rappresentanti, fu convalidata dalla Camera dei pari col voto che rigettò la sua domanda, e si attenne a quella dei deputati con qualche insignificante cangiamento. Esso ne fu umiliato, ma non scompigliato; perché omai erasi assuefatto a non rinculare in faccia ad alcun delitto. Allora si sparse la voce che l'assemblea sarebbe stata disciolta, e la legge elettorale provvisoria, emanata dal governo, per la quarta volta modificata. I deputati sanzionarono la legge; il che accelerò lo scioglimento.
Alle complicazioni interne si erano aggiunte le novelle del rimanente d'Italia.
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