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      I reggimenti però i più prediletti ed i più carezzati dal re guerriero erano stati quelli della guardia reale. Li aveva scelti, li aveva ammaestrati con maggiore perseveranza, li aveva infatuati di ammirazione e di culto per sé: aveva cercato ad ogni costo cavarne una guardia imperiale. Ed egli stesso non aveva temuto né la pioggia né il sole per dar animo ai soldati e far dispetto agli uffiziali; ed aveva comandate battaglie finte al Pagliarone ed assedii ed assalti a Capua. Era convenuto già che egli dovesse vincere: che si dovesse far uso solamente della polvere, ed attaccare alla baionetta a cinquanta passi di distanza. Era convenuto che la cavalleria dovesse caricare col suo comodo, affinché, se fosse caduto da cavallo, non lo avessero calpestato. Insomma era convenuto tutto, e con quella precisione ed aggiustatezza di tempo, che fa tanto piacere nei balli teatrali. Re Ferdinando bruciava dalla voglia di dare una battaglia, tanto più che i suoi generali lo complimentavano del nome di Napoleone. Si era invero offerta l'occasione di Lombardia e della Sicilia, oltre la faccenda del 15 maggio: ma quelli erano negozii troppo triviali; e poi non vi era da guadagnare delle indulgenze plenarie. Ecco che l'affare di Roma si presenta. Avevan tanto detto e scherzato su i soldati del papa che non si trovava piccolo furfantello di sacrestia, il quale non si sarebbe creduto al caso di metterne a dovere una coppia di battaglioni con la canna da smoccolar le candele. Re Ferdinando ne vide l'occasione bella e trovata.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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