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      Chi sa che un giorno quest'uomo, il quale geme silenzioso sotto lo spaventevole peso del martirio che divora la sua patria, non si riveli come un santo, e che il mistero di tanta sventura non sia rivelato? Quando Klapka diceva che Gorgey era uno sventurato piuttosto che un fellone, presentiva forse al pari di noi il segreto impulso che aveva determinata la sua condotta. Sia comunque, l'Ungheria cadde come cadono gli eroi, tagliata a pezzi, dopo avere esaurito ogni avanzo di vita, trovata inutile ogni speranza; cadde oppressa ma non vinta, strangolata ma non convertita. E dopo l'Ungheria, Venezia, l'ultimo baluardo di libertà che sulla terra d'Italia si levasse ancora; ma essa conservò fin all'ultimo momento il suo stendardo puro, immacolato di rotte, senza neppure oscillare: l'alito austriaco non l'ebbe mai sfiorato, non l'ebbe lordato mai, e lo sguardo di Europa si era per lungo tempo riposato sopra di esso, compiaciuto, quasi attestato della nobile natura dell'uomo, e miracolo di libertà. Una grande eredità di gloria Roma e Venezia hanno aggiunta a quella trasmessa dagli avi alla penisola italiana. Ed alle glorie di Venezia i napolitani reclamano la loro parte. Secondi a niuno, ebbero parecchi che furono primi, come Pepe, Ulloa, Carrano, Mezzacapo, ed innanzi a tutti il Cosenz, il quale al cuore di un eroe unisce il pudore di una fanciulla, e l'abnegazione di un santo. E questa mano di nobili uomini hanno espiato verso la città delle lagune il torto dell'ammiraglio de Cosa, il quale spedito con parecchi legni da guerra dal ministero Troya, dopo il 15 maggio si affrettò ad obbedire all'appello del Borbone, che da quelle acque lo richiamava: ed obbedì, malgrado le promesse solenni fatte ai veneziani e gl'impegni presi.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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