Poi dei genii alati, delle fate, delle ballerine, degli spettri, dei terribili assassini armati di trombone. - C'era lì la storia della vita, la leggenda, la favola, la follìa, la storia sacra, le miserie della pubblica piazza, le delizie dei sogni di vent'anni. Pist! e tutto vola nell'aria, canta, freme, grugnisce, rugge di collera; è spuma del mare, ala di uccello, contorsione, scoppio di riso - una palpitante visione di hascis, o un pesante incubo di vino di Calabria.
Bruto subiva questa specie di vertigine da dieci minuti, quando l'abitante della stanza entrò serio, recando una manata di legumi. Egli gittò uno sguardo su Bruto, che si alzò ma senza far motto e corse alla pentola donde l'acqua scappava via nell'ebollizione e spegneva il fuoco. Bruto, confuso, distratto e spinto da un bisogno istintivo di dire alcun che, dimandò:
- Siete voi Giuseppina Tortora?
L'uomo, interpellato così, volse vivamente il capo; fissò il giovanotto con un viso imperturbabile e rispose serio serio:
- Sono proprio lei.
Bruto, risvegliato da questa risposta burlesca, scorse che il suo interlocutore era un vecchietto d'una cinquantina d'anni, giallo, magro, tozzo, con un testone coperto da capelli grigi arruffati; un paio di calzoni giallastri; un soprabito nero nella sua infanzia, grigio ora e bucato ai gomiti; una cravatta rossa e un berretto di pelle. Aveva mustacchi neri ed enormi sopracciglia; il tutto rischiarato da due occhi che fiammeggiavano e ch'era impossibile di fissare nel loro movimento continuo.
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Calabria Bruto Giuseppina Tortora
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