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      - No: c'è di meglio a fare.
      - Che cosa?
      - A rivederci, ve lo dirò un'altra volta.
     
     
     
      CAPITOLO V.
     
      La finestra si chiude, la porta si apre.
     
      Bruto era rientrato in casa vivamente preoccupato. Quelle poche frasi scucite del burattinaio erano state come una chiave che avesse aperto uno scompartimento ignoto della sua anima; qualche cosa rivelavasi in lui. Una delle forze del suo spirito si risvegliava. L'intensità di questa forza importava poco; che essa fosse o no predominante, la quistione non era lì.
      È certo che quella educazione disordinata, informe, che toccava a tutto, si sottraeva ad ogni analisi, non seria, ma quasi enciclopedica quella educazione da commesso viaggiatore d'un veterano che aveva verificata la geografia mediante le battaglie, che aveva esaminato monumenti a forza di puntarvi contro il cannone, che aveva imparato le lingue europee nei bivacchi e nelle osterie; in una parola quella educazione così mescolata, così bizzarra, che Bruto aveva ricevuto dal sergente, aveva deposto e nutrito nel suo spirito un lievito di poesia, di cui egli non aveva neppur coscienza.
      Al primo tocco, ciò scoppia fuori. E ciò getta l'anima del giovine in un mondo sconosciuto che l'agita e la confonde. La poesia è luce. Al primo colpo d'ala, Bruto aveva veduto il burattinaio quasi trasformato; al riverbero di quella luce, egli si sentiva zampillare dal petto un getto di vita novella. Il contadino sciocco, insipido, balordo, lo stupido provinciale d'ieri rompeva il guscio e gettava le scaglie.
      Un'ora ancora, ancora un soffio, una corrente di questa fiamma, che lo avvolge, ed egli è artista - cioè l'espressione la più ridente, la più profumata dell'aristocrazia del pensiero.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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