Rifletti che Dio non vuole che si lasci morir di fame la propria madre quando si può darle più che del pane: l'opulenza, il lusso, più ancora: la vita, il sorriso, il trionfo, la tranquillità della coscienza, il paradiso. Rifletti, Lena. I diciotto anni passano. A vent'anni la rosa è interamente sbocciata. A trenta è avvizzita ed i petali cadono. Il tempo appartiene a Dio, il grande usuraio. Chi non traffica, fallisce e ne è punito. Tu hai orrore delle esibizioni: io sono stanca dei rifiuti. Tu hai paura delle porte che si aprono per lasciarti passare in carrozza; io cado affranta e martirizzata dinanzi a quelle che si chiudono. Una cecca, la cui cameriera racconta ogni fatta di cose, mi getta sulla faccia il tuo lavoro e mi scaccia. Ed io non mi conosco sapore di pane da trentasei ore! Misericordia di Dio! no, ciò non deve essere. Lena, questa sera tu esordirai ai Fiorentini. Nascerà quello che nascerà.
- Ti dico no, mamma, giammai!
- Ah! la prendi su questo tono? gridò la donna, avanzandosi verso la finestra ove stava sua figlia. Ebbene; a noi due allora!
Bruto, ritto dinanzi alla finestra, non aveva perduto una parola di quel dialogo. Lena, rivolta verso sua madre, non aveva pensato che vi potesse esser qualcuno che le ascoltasse: e la madre in fondo alla stanza non aveva scorto il giovanotto. Quando costei s'avanzò verso la figlia, i suoi sguardi e quelli di Bruto s'incontrarono, parvero le due scintille che compongono la folgore.
Bruto, che l'aveva non pertanto veduta spesso, non la riconosceva quasi più in quel momento.
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