In un angolo della stanza, sur un fornellino, un vaso di creta, ove bollivano probabilmente quei cavoli, di cui alcune foglie erano sparse sul pianerottolo. Ed era tutto, se si aggiunga un tavolino di pioppo, lercio come il resto, appoggiato al muro e che non conservava più che tre delle sue gambe. L'uomo tossi, sputò, ma la donna non se ne diede per intesa.
L'uomo incrociò le braccia ed aspettò che l'operazione dello spazzare facesse arrivare la donna verso l'uscio. Ciò, infatti, non tardò guari ed allora l'invalido della malattia potè considerare l'invalida della società.
Non si poteva più dire cosa fosse stata quella donna in tempi remoti.
Non aveva più età: il suo viso non presentava più che degli ossi tappezzati di una pelle simile al cuoio di Cordova, di cui una volta si coprivano i seggioloni, e degli occhi che fiammeggiavano come una bestemmia in mezzo ad un discorso d'archeologia.
Quei residui sembravano orribili!
Diede un'occhiata all'uomo ritto sulla soglia e continuò a spazzare, spingendo il pattume e la polvere fra i piedi dell'importuno.
Quest'ultimo si decise, alla fine, ad aprire il fuoco.
- Zi-zia, chiese egli, sa-a-preste di-dir-mi a che pi-pi-piano di-mo-mo-ra Se-se-se-rafina Mi-Mi-Mi-nu-nu-to-lo?
Alla prima parola(5), la donna aveva levato gli occhi su quell'individuo e di uno sguardo rapido e penetrante, come succhiello, l'aveva trapassato dall'alto in giù. Si fermò appoggiandosi al manico della granata e aspettò la fine della frase, che le parve evidentemente lunga, poichè sclamò:
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Cordova Se-se-se-rafina Mi-Mi-Mi-nu-nu-to-lo
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