Ed uscì. Il vecchio domestico del conte, che lo aspettava nell'anticamera, lo pregò di passare dal padrone, che desiderava di parlargli.
Bruto entrò nello studio.
- Ebbene! chiese il conte poco ansioso della sorte di sua figlia, ma squadrando da capo a piedi il giovine dottore.
- Signor conte, rispose Bruto, sedendo sopra un divano, come vuole che io le parli?
- Come?
- Sì; mi è indispensabile il saperlo.
- In italiano, per bacco, rispose don Ruitz, a meno che non preferiate il tedesco.
- No, no, amo meglio l'italiano, che è più preciso. Ella desidera, dunque, di conoscere la malattia di sua figlia?
- Mi pare che, quando si chiama un medico, la sia una curiosità(9) permessa.
- E se fosse un'indiscrezione?
- Capisco. Per un marito, per un amante, per uno straniero, ci potrebbe essere indiscrezione in certi casi.
- Il dottore Tibia non le ha, dunque, detto nulla?
- Credo di non averlo ancor veduto. È Lisa, la cameriera, che mi ha parlato della malattia di mia figlia. La povera fanciulla non voleva affliggermi.... capite?
- Perfettamente.
- Dunque, che cosa ha quella cara piccina?
- Una grave disgrazia, più che una grave malattia, signore; la è incinta.
- Avrei dovuto aspettarmelo! disse il conte con voce sommessa, ma non turbata.
- Si è tentato di riparare a questa sventura.
- E si è riusciti? chiese il conte vivamente.
- La natura ha resistito. Sua figlia si vuole uccidere.
- È ciò che avrebbe di meglio a fare; l'è il seguito il più logico di questa sorte di scappucci.
- Non intendo nulla di codesti seguiti logici.
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Bruto Ruitz Tibia Lisa
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