Fa parata.
Il marchese di Diano era un guappo, ma soltanto da un anno a questa parte. Aveva fino allora vissuto con suo padre, se non da santo, almeno da gentiluomo onorato, con una inclinazione pronunciata per lo sport e pel turf. Un duello uccise la sua carriera.
Aveva allora ventisei anni.
A venti era uscito dal collegio dei nobili, tenuto dai gesuiti, rimpinzato di latino che non capiva, di greco che non sapeva più leggere, d'italiano che era del dialetto napoletano, di una filosofia che, essendo quella del padre Storkenau, non era nulla di nulla, e di tanta teologia quanta bastava per poter bestemmiare con brio ed eleganza. Il maestro di scherma aveva compita l'educazione e sviluppato i suoi corollari. L'uovo era fecondato, un colpo di sole lo fece schiudere.
Il marchese aveva l'abitudine di rientrare alle tre del mattino, di coricarsi alle quattro e di alzarsi alle quattro dopo mezzogiorno. La sua giornata propriamente detta incominciava alle due del dopo pranzo, quando il suo tigre gli portava da asciolvere a letto.
Una sera il marchese rientrò un po' brillo: il tigre, che dormiva nell'anticamera, non gli aprì la porta abbastanza presto. Il marchese lo fe' ruzzolar dalla scala come una palla; ed, arrivato giù, quel cattivo birbo ebbe la malizia di trovarsi con una gamba rotta ed un braccio slogato. Il marchese, che gli aveva chiuso l'uscio dietro, non s'era brigato di sapere ciò che potesse divenire un groom che rotola sopra un piano inclinato. Il domani, non ricordandosi più di nulla, maravigliava che il ragazzo non arrivasse a due ore col suo vassoio e colla sua colazione.
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Diano Storkenau
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