Tutt'al più e' si permetteva delle arguzie, onde servir l'estetica in un vassoio d'oro.
Il colonnello sedette al suo posto, presso la corsia del passaggio in mezzo alla platea. Mise a posto per bene la sua gamba di legno, per non noiare nessuno con essa: allogò la sua sciabola in mezzo alle gambe; raccolse al petto il meglio che potè quel po' di moncherino sinistro che gli restava. Perocchè quanto egli era disposto a far parata schernevole del suo uniforme di sergente, altrettanto era riservato nel mettere in mostra le sue ferite. Si rannicchiò, dunque, nel fondo della sua sedia, si fece il più piccino possibile per lasciar passare senza incomodo queglino che venivano a sederglisi accanto. Restavano ancora alcune seggiole vuote in seguito alla sua.
Finiva la sinfonia, il sipario stava per alzarsi, quando un gruppo di giovanotti entrò con strepito parlando ad alta voce e facendo come codazzo ad un uomo dall'aria disinvolta, che li precedeva e cui chiamavano: marchese.
Questo marchese non era altri che il nostro guappo, il quale aveva il suo posto a lato al colonnello. E' passò davanti senza dir nulla, mentre questi si ritirava da parte.
- Ti ho forse pigiato un piede, caporale? disse il marchese, fissando lo sguardo sulla gamba di legno.
Il colonnello si aggomitolò più strettamente ancora per lasciar passare gli amici del marchese, senza aprir bocca.
- Mi sembri offeso, veterano, riprese il marchese. Io non te ne voglio, sai. Dammi la tua mano, ecco la mia.
E tese la mano verso il braccio monco del colonnello.
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