Ho di già il mio progetto.
- Quale?
- Vi ho fatto venire per parlarvene. Il principe di Joinville, che è partito questa mattina, ha promesso a Donizetti che avanti quindici giorni gli avrebbe fatto inviare un contratto di scrittura al Teatro Italiano di Parigi per me. Accetto, qualunque siasi la paga ch'e' m'offrono.
- Lasciate Napoli, dunque? E vostro padre che è in prigione e che potreste raccomandare?....
- A chi? e come? a qual prezzo lo raccomanderei io in questa infame città, sotto questo infame governo? Voi non riflettete, dunque, più chi son io, e che volendo essere ciò che sono, non ho alcuna presa sui ministri del re. No, andrò a Parigi. Donizetti mi accompagna. Egli è amato e stimato in Francia. Il principe di Joinville non gli rifiuterà ciò ch'egli gli chiederà in mio ed in suo nome. Arrivati a Parigi otterrò che l'ambasciatore di Francia reclami mio padre come colonnello dell'esercito francese. Poi ritorno portando meco il riconoscimento di mio padre come colonnello di Napoleone e barone dell'Impero, la sua sorte messa in regola dal ministro della guerra del Re Luigi-Filippo, il suo ritiro dal servizio attivo come invalido e la sua pensione come quella degli altri militari dell'Impero.
- Ah, se non fosse un sogno ciò che dite là, signorina! esclamò don Gabriele.
- Non è un sogno. Io non ho detto che si trattava del mio proprio padre; ma ho costrutta una storia su questo subbietto. Donizetti ha promesso di aiutarmi e mi diede buone speranze. Nè ciò è ancor tutto.
- Cos'altro allora?
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