Io non ho l'esperienza del mondo. Ma, se le mie parole vi offendessero, esse non esprimerebbero certo il rispetto profondo che porto nel mio cuore per la vostra persona.
- Qual è, dunque, codesta rivelazione strana a cui così stranamente mi preparate?
- Devo prender le cose da lontano, signora, per ispiegarvi l'intera mia condotta. Avete tempo di ascoltarmi oggi?
- Parlate. Il tempo mi obbedisce.
- Un giorno io fui chiamato a visitare una giovane donna cui un altro medico assisteva, ed uccideva.
- Chi era codesta donna?
- La figlia del conte Ruitz de Llamanda, la signora Cecilia.
- Ah! sì me ne ricordo.
- Questa fanciulla era incinta. Si tentava un aborto, al quale la natura resisteva. Diedi la mia opinione. La vita dell'ammalata era in pericolo. Il padre ne fu commosso e pensò a salvare l'onore della figlia, conservandole la vita.
- Non sapreste qualche cosa di più preciso su questo affare? dimandò la principessa a voce sorda. Chi era il damo di quella giovane?
- Il marchese di Diano.
- L'infame! esclamò la principessa.
Seguì un istante di silenzio.
- Continuate, disse infine la principessa.
- La medicatura fu cangiata ed il pericolo rimosso.
- Lo so.
- Assicurai la guarigione dell'ammalata e ne gioii. Era il primo cliente d'un mondo elevato, che io assisteva e salvava.
- Una sera il conte m'invitò a pranzo. Era il primo desinare che prendeva con la figliuola, dopo la malattia. Cecilia, infatti, pranzò con noi. Io bevvi un po' troppo, cedendo senza diffidenza agli incoraggiamenti del conte.
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