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      - Non vi è che una cosa che non si fa impunemente a Napoli, signora; amare il proprio paese e la libertà: e, forse ancora, non obbedire ai comandamenti della Chiesa! Tutto il resto è un inconveniente e non un delitto. Ma concludiamo. Questo attentato è stato per me il fiat lux. È da ieri che io medito la mia condotta in quest'ultimo anno; io non ho saputo trovare una ragione sola per scusare l'indegnità mia innanzi alla mia coscienza. Ieri, io era ancora un semplicione, si poteva assolvermi. Oggi, che afferro tutto il valore dei miei atti, sarei infame se continuassi. Mi disprezzo già troppo io stesso, voglio risparmiarmi il disprezzo altrui. Addio, signora.
      Bruto si alzò per partire. La principessa lo prese per la mano e gli disse:
      - Aspettate fino a domani. Vi devo una risposta. Sono le cinque e non posso restar qui un momento di più.
      - Mi scriverete, signora, se lo credete indispensabile. La mia determinazione è irremovibile.
      - Alla buon'ora. Ma io voglio vedervi ancora domani; voi non avete scandagliata la vostra ferita fino al fondo. Lasciate che a mia volta vi rimugini col mio gammautte.
      - Per provarvi il mio rispetto, io vi obbedirò, signora. Verrò; ma non una parola a Ruitz.
      Bruto alzava già la cortina della porta per uscire, quando la principessa gli disse d'un'aria disinvolta:
      - Dottore, ho un cagnolino cui credo colpito d'idrofobia o sul punto d'esserlo. Portatemi domani un piccolo alberello del vostro acido prussico.
      Bruto s'inchinò ed uscì.
     
     
     
      CAPITOLO X.
     
      Un abate come un altro.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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