Un cavaliere napoletano e sua moglie erano arrivati presso un agente del principe di Noto, il quale ha vaste tenute in quel paese, per darsi, così dicevano essi, al piacere della caccia delle quaglie. Seppi di poi che quel signore era proprio il figlio del principe, il marchese Annibale di Diano, che aveva rapito quella giovane e si sottraeva alle ricerche della polizia. Il villaggio era in tripudio. Il mio vescovo dava dei pranzi. I missionari, che facevano il loro giro da quella parte, davano delle rappresentazioni. Il marchese dava la sera dei raouts, ove si giuocava e si beveva.
Io mi trovai presente quando il marchese arrivò all'improvvista in casa dell'intendente di suo padre. Non erano ancora, egli e sua moglie, seduti in cucina, - cucina che in provincia serve da camera da ricevere, da camera da pranzo, e talvolta anche da camera da letto, - che un nugolo di balordi e di donne del popolo armate di conocchie, li circondarono come gli orsi alla fiera.... L'intendente fece un segno e un contadino si gettò ai piedi del marchese per scalzarlo degli stivali, presentandogli delle pantofole. Un altro gli accoccò di nuovo sul capo il cappello da viaggio. Un terzo lo strinse e costrinse la signora a bere un bicchierino di vino; mentre essi avrebbero, di certo, preferito una limonata.
- Sareste ammalato? Se non vi sentite bene, disse l'intendente, vi farò preparare una tisana di acqua di malva e mele. L'è una cosa stupenda pel petto.
Si dibattevano ancora contro questi usi del paese, quando giunsero a far visita le dame del luogo, coi loro vestiti da nozze di vent'anni fa ed i loro mariti più o meno in abito nero.
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Noto Annibale Diano
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