- Il vescovo era dunque partito? domandò uno.
- No, vi si preparava, quando capitò il marchese. Il signor di Diano era un bietolone innestato sur un malandrino, cui io spennavo allo zecchinetto; sua moglie, la più squisita leccornia del dessert del buon Dio. Io mi sentivo attratto verso di lei come la farfalla dalla fiamma. Ma ella si occupava di me, come la grazia di Dio si occupava dei vecchi e nuovi principi. Io non negligeva nulla pertanto onde tornarle gradito. Ella soccombeva a non so che maleficio del priore della Certosa di Padula - uno dei missionari - e si lasciava ammoinare dal giovine seminarista, il quale le dimandava un bacio per un sonetto. Il marchese dava la caccia alle serve ed alle contadine, belle come amazzoni e sopratutto più complete di quelle.
- Ma, senza piaggiarvi, signor conte, chi dei tre valeva meglio, il priore, il seminarista, o voi? domandò il carceriere in capo.
- Che? Ci poteva, dunque, essere un sol punto di paragone tra quei due gaglioffi, rozzi, noiosi contadini e me? Ma il seminarista si era costituito spia della dama e le denunziava le infedeltà del marchese. Il priore usava della malìa misteriosa del confessionale, cui ognuno si spiega, cui i mariti soli non comprendono e consegnano le loro mogli all'incanto.
Il priore non aveva alcun modo di vedere Cecilia in casa, perocchè il geloso seminarista la vigilava come un eunuco.
Infine, quando Dio volle, la missione terminò ed i missionari partirono per Spinoso. Il priore si finse ammalato per restare indietro e ritornare al convento di Padula.
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