In verità, io non mi ricordo troppo ora ciò che le risposi allora. Certo io le parlai in tale chiave che la divenne muta come il fondo di un pozzo, desolata come i piccoli debiti, docile come una pinzochera verso il suo confessore e, senza dimandar altro, neppur dove andassimo, ella riprese il suo cavallo, io quello del priore e....
- Che idea di andarsi a caricare di una simile pettegola in una sì grave situazione, mormorò una voce nell'uditorio.
- Avete ragione, compare, riprese il conte, ma a chi la colpa? Bisognava che Dio fosse proprio in un momento di grande corruccio quando pose nello sguardo vellutato e nel congegno di due labbra rosse di una donna, tutto il destino di un uomo. Il fatto sta che io m'era pazzo di lei e che l'avrei disputatata a tutti i certosini, a tutti i cappuccini, a tutti i seminaristi e marchesi del mondo.
- Che rabbia! sclamò una bella tosa.
Poco lungi di là dunque, nella foresta dell'Aquila, vivevano certi eremiti di mia vecchia conoscenza e subordinati al mio potere come un gesuita al suo generale. Andai a trovarli. Confidai loro la mia persona e la mia preda e diedi ordine che si preparassero a cangiar stanza all'indomani, perocchè io aveva lasciato in quelle vicinanze segni troppo significativi di mia presenza. Osai, malgrado ciò, ritornare solo a Moliterno la notte, in casa del mio ospite, ove avevo denari, carte ed armi. Ma innanzi l'alba ripartii per la caccia. Cecilia, quantunque mi odiasse, mi vide ritornare con entusiasmo: le faccie dei miei mirmidoni l'atterrivano.
| |
Dio Aquila Moliterno
|