Una capra, un gatto, avrebbero esitato e rabbrividito. Pregai Cecilia di scendere e di precedermi, mentre io avrei cura di assicurare il passaggio delle due bestie.
Ammaliata dallo spettacolo di quel mare azzurro, svolazzato, incartocciato a volute, chiazzato dai raggi bianchi del sole tremolanti sull'onde, quasi abbarbagliata da quel miraggio fatato, Cecilia smontò e principiò a camminare. Guardava il cielo ed il mare meglio che il suolo ove poneva il piede. Di un tratto la vidi vacillare. Mi spaventai del suo pericolo e le misi la mano alla taglia onde sostenerla; la mia mano la scosse e le fece perder l'equilibrio, sdrucciolò. Io chiusi gli occhi.
Quando li riaprii, per osservare, il vuoto era dinanzi a me.
Vidi il mare brulicare a' miei piedi, le piccole onde baciare la sponda e recedere come pudibonde ed, in fondo in fondo, riflessa dalla azzurra trasparenza dell'acqua, qualche cosa di bianco, come una Naiade che si moveva e affondava sempre e sempre. Quell'ombra bianca sbiadì, divenne opaca, verdastra, turchina d'indaco, più scura ancora, nera, disparve.
Io era vedovo.
La società era vendicata.
- Come la provvidenza vi aveva servito! sclamò il carceriere in capo.
- La tua provvidenza mi servì troppo, compare! rispose il conte.
- La non ne fa che di queste! osservò un'altra voce.
Ritornai solo coi miei asini a Sorrento e dissi ai miei ospiti che avevo lasciata Cecilia presso i miei amici. L'indomani ritornai a Napoli. Mi sentivo più leggero, ma orribilmente triste. Mi sarei fatto trappista, se avessi avuto settant'anni.
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