Gli si proverebbe poi ch'egli aveva torto. Benissimo; ma egli avrà parlato, avrà infamato il governo napolitano, avrà esaltato l'uditorio, avrà fatto risuonare nel santuario stesso della legge quel nome di Napoleone ch'era proibito pronunziare nelle vie, pena la prigione.
Infrattanto il giorno del giudizio si avvicinava e l'interesse pubblico aumentava d'intensità. Restava al governo napolitano un elemento certo di trionfo. La Francia, coprendo con la sua benevolente protezione un uomo che aveva per lei seminato le sue membra ed il suo sangue lungo l'Europa, non aveva ancora deciso che costui facesse sempre parte dell'esercito francese e che il decreto del ministro della guerra di Luigi XVIII fosse indegno.
- Perchè, diceva il ministro della guerra di re Ferdinando, sostenuto dal ministro della giustizia e da quello degli esteri, perchè riconoscerei io ciò che il governo francese esita esso stesso a riconoscere?
Con questo argomento si teneva in iscacco l'ambasciatore di Francia e la pubblica opinione. Ma l'ambasciatore di Sua Maestà napolitana a Parigi scriveva: "Fate presto, condannate od assolvete come meglio vi piace; ma spicciatevi: preparate un fatto compiuto. Non si è ancora deciso, ma la decisione può arrivare da un momento all'altro ed io non vi garantisco sarà favorevole."
- Che si faccia presto, dunque! rispondeva re Ferdinando. Se io sarò costretto a rendere all'esercito francese uno dei suoi commilitoni, voglio cavarlo dall'ergastolo e rimetterglielo colla catena del forzato al piede.
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