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      Lo zio Tob si fè avanti di un'aria sicura, mentre le sue ossa scricchiolavano al suo passo. Non cavò il copri-capo. Prese per di più una seggiola, cui avvicinò a quella del dottore, ed attribuendosi la parola pel primo e dandogli del tu, al modo dei gitani, disse:
      - Che mi vuoi tu, compare?
      Il dottore non rispose da prima. E' cercava a rendersi conto dell'uomo con cui aveva a negoziare, mediante l'analisi della fisionomia e l'osservazione di quelle mille protuberanze - cui certe abitudini della vita e del pensiero sollevano sul corpo - sì eloquenti, quando li si sa interrogare da frenologo, non da ciarlatano.
      Dopo due minuti di silenzio, che turbavano lo zio Tob, il dottore fiutando una presa di siviglia, disse lento, lento:
      - Io sono straniero. Viaggio perchè mi annoio. Son curioso. Amo le storie bizzarre. Ora, come io m'immagino, caro, ch'e' vi potria essere nella storia vostra qualche cosa di piccante, vi ò fatto chiamare per chiedervene il racconto.
      Il dottore aveva aperta la conversazione con mal garbo - non tardò ad avvedersene.
      Lo zio Tob restò un istante come stupefatto, gli occhi spalancati, pensando sognare, sospettando, malgrado ciò, che non fosse innanzi ad un commissario di polizia. Poi si alzò pian piano, e rispose:
      - Io pure, sono straniero. Io viaggio per vivere. Io non sono punto curioso. Detesto le storie, bizzarre o no. E come non ò nella mia vita nulla di ghiotto, e come, quand'anche ve ne fosse, io non l'avrei spippolato al primo ozioso venuto che prendesse la pena di chiedermelo a brucia pelo, io ti rispondo: addio compare.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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