Regina parlava l'ungherese, il russo, il tedesco, il polacco, il francese, e cominciava a cincischiare l'italiano. L'ungherese era la lingua di sua madre. Il russo, era la lingua del capo, il quale, quattro anni prima dello zio Tob, era lo czar della banda. Regina aveva vissuto quattro anni in Germania; due, nel mezzodì della Francia. V'erano nella truppa due polacchi ed una polacca - Senza parlare di due cani, sconcissimi e paganissimi, che scaturivano pure dalla nobile e cattolicissima Polonia - e dello zio Tob, il quale poteva esserne altresì, quantunque nato nel Yorkshire - non confessando giammai la sua patria, tuttochè si vantasse discendere dal re Augusto, per via scorciatoia. Regina parlava queste lingue con una maravigliosa facilità, senza accento, avvegnacchè pure senza grammatica.
Qualunque cosa la aveva visto, era restata impressa nel suo spirito. Qualunque cosa aveva udito, si era confitta nella di lei memoria. Non sapeva leggere, ma stampellava sulla via del pensiero. Poi, con un pezzo di carbone, sgorbiava le più strambe caricature e per fino i ritratti dei suoi camerati. Grattava un violino. Batteva naccare e tamburino con leggiadria. Per l'immaginazione, ella comprendeva e indovinava tutto, sovvenivasi di tutto, sapeva di tutto - e raccontando ciò che sapeva, mimicava con molta grazia i personaggi cui metteva in scena.
Regina si famigliarizzò subito col dottore - il quale, per leggere fino al fondo in quest'anima, prestavasi con compiacenza alle fanciullaggini, alle fantasie di lei.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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