- Io era un imbecille, mon petit. Io perdetti la mia amante, la quale non costavami assolutamente altro che il soffio dei miei baci.
- E poi?
- Poi? Regola generale: la donna non debbe giammai aver torto che ai suoi proprii occhi, nel suo foro interno, senza che si dubiti mai ch'altri pure conoscano i suoi peccatuzzi. A questa condizione sola, ella può correggersi - e si corregge. La donna, se potesse giammai amar altro che il suo squisito visuccio, amerebbe l'uomo generoso.
- Borsa alla mano?
- Moralmente. Ma io mi condussi come uno gnoccolone. Me ne andai da madama Goupil.
- Cosa è codesta madama Goupil, innanzi tutto?
- Un tipo, mio caro, un tipo restato incognito per fino al gran Colombo di Parigi - il nostro sommo pontefice Balzac. Vuoi tu che ci rechiamo da lei?
- Non ne ò il tempo, oggi. Continua pure.
- Ebbene, nella via dei Martyrs, alla casa che fa angolo con la via di Naverin, al quarto piano, dimora una certa donna di cinquanta anni. Ella à perrucca, denti posticci, belletto sulle guance. Il suo alloggio è popolato di gatti e di conigli, che non vivono sempre nella più completa armonia. Le mura sono gremite di gabbie ripiene di canarini. Sul caminetto del suo salone si sguaia, sotto una campana di vetro, un barboncello imbalsamato, affiancato da due Gesù-bambino cacciati in boccali di alcool. Delle sedie a testa di sfinge, in velluto di Utrecht giallo, vi permettono - non senza inconvenienti, a causa dei chiodi che vi germogliano fitti - di mortificarvi le natiche, se siete stanco, mentre delle testuggini bene educate guizzano fra le vostre gambe, ed una dozzina di gazze e di corvi malappresi vengono ad appollaiarsi sul vostro cappello e lo marmorizzano di guano.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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