Avrebbe voluto parlare all'agente che aveva seguito sua moglie, per volgergli mille quistioni sul portamento e l'aria di lei; informarsi se l'era gaia, se l'era sollecita, se sembrava abbattuta, ed altro, ed altro ancora. L'agente non era lì. E d'altronde, per sistema, madama Goupil nol metteva giammai in confronto con i suoi clienti, onde scansare i disordini possibili, cui una conoscenza reciproca poteva poscia occasionare.
Sergio pagò le spese straordinarie ed andò via.
Ne sapeva già abbastanza. Tre volte, in cinque giorni, dal principe di Lavandall, in quella palazzina cui tutta Parigi denunziava come il Parc-aux-Cerfs di sua Eccellenza!
Quando rientrò, all'una del mattino, egli andò ad abbracciare sua moglie, come di uso, ma non fermossi a lungo nella camera di lei. Pretestò un furioso mal di capo per andare a riposare nella sua propria stanza. Pertanto, non coricossi. Passeggiò la notte intera.
Egli giudicava sua moglie!
Alle cinque del mattino, agghiadato a mezzo, Sergio si annicchiò sotto le coverte. Ma il sonno non venne. Nondimanco, egli era calmo oggimai. Aveva preso una risoluzione. Dopo colazione, uscì. Voleva andare ad ispezionare personalmente i luoghi. Voleva, in seguito, prendere un fiacre; rinchiudervisi; bassar le tendinelle; appostarsi in faccia alla palazzina del principe. Passando nella strada, osservò che l'atelier di un pittore suo amico sporgeva proprio sul piccolo giardino che precede la porta interna della dimora del principe - tra giardino e stufa - di guisa che, restando a sentinella nell'atelier, egli poteva vedere tutto ciò che avveniva nella palazzina.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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