Breve, l'insieme di sua figura acquistò un cotal che di strano e di turbato.
E' se ne penetrò, e s'impose per conseguenza un grande riserbo, una solitudine quasi completa. Evitò perfino le occasioni delle grandi emozioni.
Aveva torto? No.
No, perchè una sera, avendo ceduto all'attrazione di vedere il Wallenstein di Schiller, alle ultime scene del dramma, il suo cameriere lo raccolse svenuto nel suo palco.
Lasciò dopo di ciò la Germania, ed andò a Parigi.
Pietro di Lavandall aveva allora ventitrè anni.
Il dottore di Nubo gli consigliò di abbandonare lo studio, che ruinava la sua salute, e di addarsi alla vita elegante ed agli esercizi signorili dello sport.
Il principe lasciò quindi il nome d'imprestito, assunto in Germania, e si recò da suo avolo sotto il suo vero nome.
Il duca di Saint-Cassan presentò il principe alle Tuileries, ed a quella parte della aristocrazia francese che aveva accettato la monarchia democratica. Per il suo nome però, per il suo titolo, per i precedenti di suo padre, egli fu ricercato altresì e carezzato nei saloni dell'aristocrazia ribelle del Faubourg Saint-Germain.
La principessa di Lieven lo mise alla moda in mezzo al mondo dell'intelligenza.
Il principe di Lavandall era, oltre a ciò, ricchissimo, bel giovane, dalle maniere squisite, ma poco inchinevole verso il mondo e che, per ciò appunto, rilevava la persona a cui e' si piaceva interessare. Aveva un carattere eguale e fermo, e di una elevatezza costante nei sentimenti.
In una parola, a ventitrè anni, il signor di Lavandall era ciò che addimandasi un uomo serio, con cui è d'uopo contare, sia che prenda parte a qualcosa, sia che si astenga.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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