Però aveva parlato con la sorella di lui, madamigella Aurora - la quale pingeva il ritratto in miniatura della principessa di lui madre - oggi contessa Soblowiski.
Madamigella Aurora, a vero dire, lasciava molto a desiderare, quanto a capacità d'artista. Ma ella pigliava il passo e precedeva di più tappe, anche le donzelle le più felicemente dotate, quanto a spirito ed a bellezza.
Ella ne aveva più, di entrambi, che tutte le principesse romane fuse insieme.
Il principe di Lavandall - forse contrariato la prima volta di non incontrare lo scultore e d'incontrare sua madre - ne fu ammaliato la seconda volta. Di poi, egli non si recò più allo studio che quando Filippo e la principessa non vi erano.
Il principe Pietro invitò alle sue feste lo scultore e la sorella, e qualche altro artista di Roma.
Arrivò ciò che era inevitabile.
Il principe - anima tenera ed affettuosa, uomo solitario e di natura timida - s'infiammò di madamigella Aurora, la quale, scaltraccia! restò ben calma da parte sua. Gli era in ogni modo savio, nel posto di quella savia damigella. Imperciocchè, che poteva ella aspettarsi dal principe di Lavandall, se non di divenire la sua amica?
Ora, quale non fu il suo stupore quando, un giorno, suo fratello le disse:
- Doh! la bella, tu non sai?
- Che mò?
- Indovina.
- Il papa à partorito.
- Ciò si è visto. Meglio ancora che codesto, birbaccia.
- Oh! oh!
- Io ti dò marito.
- N'era tempo, m'immagino.
- Forse. Ma, che mi affoghi, Satana! se tu avessi aspettato ancora dieci anni non avresti trovato di meglio.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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