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      E' non sarebbe stato che una mente malata, se la prudenza, il soffio sì vicino, la vista sì abbagliante della sua giovane sposa - che gli svolazzava intorno come una nera farfalla - non lo avessero briacato di una demenza sensuale.
      Quinci la sua malattia s'inciprigniva.
      Quando e' la sentiva approssimare, sia che fosse nella sua camera da letto, o nel suo gabinetto, o nella sua biblioteca, egli toccava un campanello, in un modo convenuto, ed Ivan accorreva ed asserragliava le porte, ove egli restava a guardia fino a che la crisi non si fosse dissipata.
      La consegna era inviolabile.
      Ora, egli avvenne un giorno che il conte Alessandro avesse urgente uopo di parlare a suo fratello. Ne andò in busca alla biblioteca, ove recavasi di ordinario dopo l'asciolvere. Alessandro incontrò Ivan alla porta.
      - Il principe è qui, Ivan?
      - Sì, padrone.
      - Apri.
      - Non si entra, padrone.
      - È egli solo?
      - Solo.
      - Lavora dunque?
      - No.
      - Apri.
      - Impossibile, padrone.
      - È per suo ordine?
      - Padrone, sì.
      - Che fa egli dunque?
      Ivan si tacque.
      Alessandro riflettè, poi soggiunse:
      - Cotest'ordine riguarda me solo?
      - Gli è per tutti, padrone.
      - Anche per sua moglie?
      - Padrone, sì.
      - Ma egli non è ammalato, m'immagino, Ivan?
      Ivan non rispose.
      Alessandro riflettè, poi domandò:
      - Posso tornare più tardi?
      - Forse, padrone. Ma gli è meglio che non rivenghiate.
      - Che cosa è codesto mistero?
      Ivan tacque.
      - Gli è la prima volta che mio fratello ti dà quest'ordine?
      - L'è una consegna per certe circostanze.
      - E se forzassi la consegna, Ivan?
      - Padrone, bisognerebbe uccidermi prima.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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