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      - Io sono un misero - sclamò il principe di una voce sorda e concentrata. A venticinque anni, colmo di tutti i favori della fortuna, io desidero la morte. Mi dicono avvenente; son di gran nascimento; sono ricco... e fo orrore! Io invidio la sorte del mendicante ebreo, cui i cani mordono all'uscio nostro: e' non è che povero! Io mi ebbi bello ad interrogare la scienza. Questa cortigiana, non à sorriso per la sventura. Essa civetta con le piccole malattie. Biascica nonsensi, in presenza di quei castighi fatali che si addimandano tisi, apoplessia, epilessia, gotta, ed il resto. Mi son tuffato nello studio, nelle feste, nei viaggi, nei pericoli i più insensati, onde, almeno, obliare. In capo a tutto ò trovato quest'orrido spettro... Ed il mondo sclama sul mio passaggio: che à dunque fatto quest'uomo alla Provvidenza per strapparlo lo scrigno delle felicità?!
      - Ah! se sapessero!... - mormorò Alessandro.
      - Proprio così; perocchè, quando si seppe, il ritornello cangiò. Il tempo delle prove arrivò. Pensai ad ammogliarmi.
      Alessandro abbrividì.
      Il principe avvertì quel sussulto.
      - Incontrai nei saloni di Parigi una stolidella, figlia di un conte mendicante, debosciato, spia della corte di Roma, strumento dei gesuiti. Io non avrei voluto toccare della punta delle dita la donzella, della punta dei piedi il padre. La chiesi in matrimonio(12) e feci la corte al sacripante. Tutto vola sulle ali di oro, cui io appicco all'affare, e gli sponsali si fissano. Io condussi il padre nel suo gabinetto, e gli dissi:


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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