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      Ivan uscì.
      Il principe passò la sera a scrivere, a bruciare, a mettere in ordine carte. E' non volle ricevere sua moglie - a cui Ivan aveva trasmesso l'ordine della partenza per l'indomani.
      Tutto ciò erasi passato presso il principe con una semplicità spaventevole. Nè la sua voce nè quella di Ivan non sembravano più commosse in quei preparativi di omicidio, che se si fosse trattato di una caccia ai colombi. Non quesiti, non discussioni, non dubbi, non esitamento, non rimorso: uccidila; sì!
      Il conte Alessandro - il quale aveva compreso, alla voce di suo fratello, ch'ei si trovava in faccia di una fatalità inesorabile - non provò neppure di distornarla o di rimpicciolirla. Egli indovinò che ogni sforzo cui avrebbe fatto per piegare il destino, lo avrebbe anzi aggravato. Ritornò dunque al castello, pranzò nel suo appartamento e si coricò.
      Il sonno non si presentò al suo primo appello. Ma il conte l'invocò con un bol di punch: ed il sonno obbedì.
      Il giovane, d'altronde, aveva la coscienza in pace.
      E' non fu mica lo stesso della principessa Maud.
      Parecchie circostanze avevano concorso a cangiare in un'angoscia mortale l'ansietà in cui l'aveva gittato l'ordine di quella partenza precipitata. - Suo marito gliel'aveva fatto ingiungere dal suo maggiordomo.
      Ivan, che aveva l'attaccamento il più vivo per Maud, dopo aver compiuto la commissione del suo padrone, le era caduto a ginocchio ai piedi, e baciandole la mano, con un intenerimento profondo aveva soggiunto:
      - Voi mi perdonerete, padrona: io debbo obbedire.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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