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      I due fratelli si approssimarono.
      Il primogenito, le mani conserte dietro il dorso. Il cadetto, le braccia incrociate sul petto.
      Quando furono giunti al sito dove Ivan li aspettava, fermaronsi, e si trovarono l'uno rimpetto all'altro.
      Erano in una specie di aia di qualche centinaio di piedi di diametro, circondata da un gruppo di rocce bianche, arrotondate - le quali di lontano si sarebbero prese per una mandria di vacche della Campania che fa la siesta, tosando viole e bruiere; o per dei cranii di Titani, seminati sur un campo.
      Gli era quasi un circo. Ed il vecchio abete, che avea l'aria di una forca, gli dava un aspetto sinistro.
      Nonpertanto, il sole svegliava tutt'i canti della natura: terra e cielo palpitavano di vita!
      Ivan risalì a cavallo, ed andò a costituirsi carceriere di Maud, aspettando di esserne l'assassino.
      I due fratelli restarono un momento a squadrarsi, in silenzio; poi il principe proruppe:
      - Ebbene, m'ài tu giudicato, conte di Lavandall?
      - No - rispose Alessandro.
      - No? - riprese il principe. Pertanto tu ài avuto tutta una notte per deliberare.
      - È vero. Epperò non è il tempo che mi è mancato.
      - E che dunque?
      - Non si giudica ascoltando il solo accusatore.
      - Chi ti à impedito di ascoltare altresì l'accusata?
      - La paura di trovarti colpevole e di condannarti.
      - Grazie. Io non ti aveva mica dimandata mercè - sclamò il principe con disprezzo.
      - Ed io non dimando mica ad essere giudice - rispose il conte con calma. Amo meglio rimettermene al giudizio di Dio.
      - Scegli le armi allora - replicò il principe.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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