.. quando l'ò visto supplicarmi, delirar di passione, attirar sulla sua testa il fulmine del suo male a forza di amarmi, sopraffatto dall'emozione, cui la mia vista cagionavagli sempre... ebbene, fratello, io che l'amavo di già nella profondità del mio cuore; io che non osavo, per timidezza, per rispetto, per sciocchezza, forse, rivelarmi a lui, far eco alla sua passione... io ne sono folle adesso fino all'impudenza. Io non soggiungo più nulla... o piuttosto, io non soggiungo che un motto: Partite, vivete, siate felice! La nostra ora, a noi, è certa. Possiate sovvenirvi di noi senza rimorso e senza rancore.
- Io amava una donna; io adoro un angelo! - sclamò il conte accasciandosi sur una seggiola o nascondendo il capo nelle mani, per piangere.
La principessa lo contemplò, avendo anch'ella gli occhi ottenebrati dalle lagrime. Poi senza rispondere, si ritirò indietreggiando, sollevò la portiera e scomparve.
Discese le scale precipitosamente ed andò a cascare nella sua carrozza, dicendo ai lacchè:
- Al palazzo, e presto!
Ella non rimarcò ch'un altro coupè, egualmente alle armi ed alla livrea di Lavandall, aspettava alla porta, e che due occhi di fuoco spiavano dietro i cristalli.
Quando la principessa fu partita, Ivan si avvicinò allo sportello e dimandò gli ordini del principe.
Il principe era venuto all'Hôtel du Rhin per parlare a suo fratello. Avendo scorto alla porta la carrozza di sua moglie, erasi fermato ed aveva aspettato. Ma, aspettando, aveva cangiato avviso. E' non volle più discendere, non volle veder più suo fratello.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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Partite Lavandall Ivan Hôtel Rhin
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