- Ad ogni modo, Egli avrebbe meglio fatto di lasciarmeli - di lasciarli vivere, se veramente dati E' me li aveva. Ma io ò dei dubbi su questi avvenimenti, cui è inutile di mettere in chiaro oggidì.
Il P. d'Ebro abbassò gli occhi e si tacque.
Il re continuò:
- Ora, che avverrà del mio trono, dopo la mia morte? Ecco la mia preoccupazione. È mestieri che io lo lasci a mio fratello - vale a dire, all'uomo che io odio di più in questo mondo.
- Sire - osservò il P. d'Ebro timidamente - il Signore proibisce l'odio, e la Chiesa non ordina di odiare che il peccato.
- Pertanto, bisogna ad ogni costo - dovess'io proclamar la Repubblica - che quell'uomo non mi succeda.
- Sire, le leggi fondamentali della Corona sono inesorabili su questo punto. Esse assicurano la successione a vostro fratello, se V. M. non avrà prole.
- Inezie! Chi à fatto quelle leggi? Gli Stati della nazione ed un altro re, che non era neppure dei miei antenati. Ebbene, che cosa è un re?
- Sire, l'Ecclesiastico à detto: "Dov'è la parola del re, quivi è la potenza. E chi può dirgli: cosa fai tu? Chi tiene il comando non può far male; ed il cuore di un uomo saggio distingue bene il tempo ed il giudizio." Tale è il re.
- Io abrogherò la legge allora, e farò per il meglio.
- Sire, lo spirito del male non si rassegna giammai al bene, senza procurare di tuffarlo prima nella desolazione. Il principe di Tebe potrebbe cagionar dei malanni.
- Gli è precisamente codesto che sveglia le mie angustie. I popoli sono diventati infami: essi pensano e giudicano!
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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