Il piacere che l'ubbriacava era la caccia. Nei castelli reali si trovava un registro zeppo zeppo di più migliaia di pezzi di grosso selvaggiume ucciso dalla principessa Bianca. Si erano bene astenuti però d'iscrivervi altresì che ella aveva morti per sbaglio cinque o sei picchieri e parecchi contadini e guardacaccia. Il sangue, compreso il suo proprio, l'intimidiva poco.
Malgrado ciò, era sensibile alle lagrime, e gli atti generosi la facevano singhiozzare. Un uomo ucciso la colpiva; un fiore appassito l'inteneriva. Leggeva di raro; ma se prendeva un libro, era sempre un poeta: Schiller, Byron, Hugo, Köerner, Zorillas... Sapeva tutte le lingue.
Una principessa non è dessa una piuma, cui il vento deve un giorno trasportare Dio sa su quale riva?
Il moto era per lei la vita; il riposo la spegneva. Aveva l'audacia di un uomo; la volontà di bronzo... di una donna.
Eccola adesso sur un ginetto andaluso nei viali della foresta.
Quindici giorni di reclusione le davano il farnetico del movimento.
Il suo occhio si dilatava, le sue narici si gonfiavano, il suo seno si apriva. I suoi colori, un istante impalliditi, rifluivano trionfanti. La sua testa sfidava il nugoleto che si granulava di fulmine e s'imbeveva di uragano. La sua voce scoppiava e balzava.
I suoi fratelli e gl'invitati a quella caccia erano restati indietro, lontani, spauriti. I bracchieri, sperperati nella macchia, nei mille sentieri della foresta.
Un solo cavaliere, il duca di Balbek, si teneva ai suoi fianchi, attaccato al suo abito, gualcendo sovente la sua amazzone in quella corsa scapigliata.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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