Vitaliana rispose - arrossendo un po' della sua ignoranza - che ella non era ancora stata nè agl'Italiani, nè all'Opera.
L'anno passò così.
Era il secondo anno dell'ambasciata del duca di Balbek a Parigi, ove egli teneva già il bordone della fashion e sguazzava nella più alte regioni dell'ebrietà dei suoi successi.
- La campagna è stata cattiva! sì - disse la contessa di Muge, ritirandosi nella sua terra a primavera. Nonpertanto ò provato le armi. Esse sono buone.
Ed ella contemplava sua figlia con gli occhi di un mercante di schiavi in Oriente.
L'aria delle montagne dei Vosges, ove si trovava il piccolo castello della contessa - ella lo addimandava così - fu di un effetto prodigioso per Vitaliana. Il suo sviluppo si compiè: l'abbozzo divenne opera. Non una delle promesse aveva fallito. Nessuna dalle speranze di una madre ambiziosa era stata tradita. Non una delle opulenze annunziate, che non si fosse lussuosamente realizzata. Non un gioiello che non divenisse un tesoro. Quando la contessa di Alleux e suo figlio vennero al castello di Muge, essi restarono abbarbagliati dallo splendore che Vitaliana aveva acquistato in sei mesi.
La contessa di Alleux se ne compiacque.
Adriano ne pianse di furto.
Questa volta i due cugini si trattarono infinitamente con più riserbo. Non si abbracciarono più.
Vitaliana raccontò ad Adriano tutto ciò che ella aveva visto nel mondo l'inverno scorso; il numero di volte che aveva ballato; il nome de' suoi cavalieri: i propositi che le avevano susurrato all'orecchio - ma ciò con molte reticenze - in uno, quella grande festa della vita che si presenta ad ogni fanciulla come un incanto di fate, e che, qualche anno più tardi, termina talvolta così lugubremente.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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