Vedrete, vedrete, M. Claret. Ma per condurre a termine tutto codesto, è mestieri che lo pigli il mio rango nella diplomazia.
- Oh! io comprendo perfettamente ciò.
- Bisogna moralizzare i padroni, mio caro, se vogliamo costituire la nostra indipendenza. Essi ci danno del tu, per l'epa del diavolo! Ci chiamano col nostro nome di battesimo, e qualche volta animale! Essi dimenticano perfino talvolta di dire: se vi piace! Oh! eh! I nostri padri àn dunque presa la Bastiglia per nulla? E la livrea, ah! Noi siamo in un carnevale perpetuo, noi altri, noi siamo degli arlecchini all'anno.
- Come a dire?
- La nostra livrea è la nostra gogna. E la parrucca, poi? E con questo, una parrucca di stoppa, bianca della farina che il vento ci caccia negli occhi e ci accieca, e nel naso e ci fa starnutire dodici ore al giorno! Mi pare che basti che ci accimorrino con li scarpini, le calze di seta e le brache corte. Essi non ànno nemmeno pietà se un famigliare à le gambe arcate, con quei mezzicalzoni di peluscio rosso o giallo canario! Se fossero almeno colori seri! Vi si azzima in pappagallo! Basti così, cospettaccio! D'oggi innanzi, noi esigiamo degli uniformi di lanciere. Eh! che ne dite, M. Claret, di lanciere o di ussaro?
- Io inchino forte alla veste da camera. Essa è più comoda. Io ò saggiato l'uniforme alla guardia nazionale - e non mi sorride una maledetta. Ma, infine, vada pure per il lanciere. Io amo la Polonia... a digiuno.
- Allora, caro M. Claret, l'è un affare inteso. Ma, del resto, dopo dimani sera io verrò a pigliarvi con la vostra signora e le signorine, ed andremo alla Porte Saint-Martin.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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