Il duca di Balbek si recò dunque alla Corte delle Tuileries con la missione di fare della diplomazia di alcova; di preoccuparsi poco dei ministri, molto delle loro ganze, delle ganze-padroni, e delle padronesse dei padroni. Tutta la sua abilità doveva consistere nella scelta, ed, al peggio andare, in salvar la capra ed i cavoli: divenire il favorito di tutte senza offenderne alcuna!
Munito di queste istruzioni ad aures, il duca di Balbek giunse a Parigi.
L'altitudine delle sue funzioni lo inebriava.
Gli si avrebbe potuto augurare un poco più di penetrazione, uno spirito più pronto e più fino, un'istruzione più sostanziale, delle maniere più scelte, un'aria da più gran-signore. Ma, a parte ciò, e' non poteva negarsi che il duca non fosse bravamente attagliato alla sua parte.
Lo si addimandava, nei saloni: l'Antinoo! È vero che si soggiungeva: dell'Auvergne! Ma che importa! dell'Auvergne o della Bauce, un bell'uomo è sempre un bell'uomo.
Il duca era il meglio pettinato di tutti quei signori del corpo diplomatico. Alcuno non portava come lui un abito assestato alla vita. Aveva inventato un taglio di collarini che aveva messo in frega il jockey-club. Il nodo della sua cravatta era l'avvenimento di tutti i giorni - e formava la disperazione dello stesso M. de Talleyrand, che viveva ancora, ed aveva sempre, come si sa, delle grandi pretensioni su questo arnese. Si occupava con assiduità della riforma del cappello - ed uno de' suoi attachés andava giornalmente alla biblioteca Richelieu per consultare, al proposito, i classici greci e romani.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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