Quel folleggiamento durò fino alle due del mattino, quando il principe di Lavandall venne a rilevare Vitaliana - dandole il braccio per passeggiare nei saloni, nella stufa illuminata di tratto in tratto con fuochi elettrici. Il principe la introdusse in seguito, per farla respirare un po' in disparte, in un piccolo boudoir, la di cui porta era chiusa, e dove quattro persone giuocavano. Il duca di Balbek non ballava quasi più, eccetto il quadrille offiziale, a cui non poteva sottrarsi. Non essendo parlatore, essendo confinato, per ragione di Stato, alla tratta delle bellezze mature della diplomazia e della Corte, non gli restava altra risorsa nelle serate, ove le convenienze lo chiamavano, che quella del giuoco. Il giuoco, del resto, lo attirava; perocchè egli era costruito per le forti emozioni anzi che per le delicate. Da qualche tempo, d'altronde, il giuoco era divenuto uno degli articoli del suo bilancio di reddito, e, malgrado le variazioni inevitabili, era ancora molto produttivo. In ogni caso, avesse egli avuto ripugnanza per le carte, il conte di Nubo, suo medico, si sarebbe addato a vincerla. Perocchè, non appena il duca compariva in un casino od in un salone, il dottore sollecitava a metter su una tavola da whist, e peggio ancora. Infatti, abbiamo visto che di Nubo lo attendeva. L'ambasciatore d'Inghilterra e l'ambasciatore di Prussia - che gustavano anche essi considerevolmente una partita di whist - non dimandavano meglio che cedere all'invito del principe di Lavandall, il quale, per divertire i suoi ospiti, andava incontro alle loro inclinazioni.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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