Il principe di Lavandall ritornò al piccolo salone, giusto al momento in cui una scena delle più tragiche cominciava. Il duca aveva una fortuna insolente. Aveva passato dieci o dodici volte, ed un monticello considerevole di luigi, di viglietti di banca, di gettoni, denunziava il suo successo. La vena continuava. Il vento gonfiava tutte le vele del suo naviglio conquistatore. Non restava più un soldo nè avanti nè in tasca dei suoi avversari.
Di un tratto, la mano del conte di Kormoff, a destra, e quella del principe di Storkine, a sinistra, afferrarono i due polsi del duca di Balbek e, levandosi, i due personaggi gridarono di una medesima voce:
- Signore, voi rubate!
Il duca di Balbek restò pietrificato. I suoi polsi non battevano più. La sua voce si estinse. Solo, il suo labbro inferiore tremolò.
- Noi abbiamo cominciato con dieci giuochi di carte. Ora andremo a contare quanti ve ne sono colà, poi a frugarvi. Se ci siamo ingannati, noi siamo a vostra disposizione per dimandarvi scusa o darvi soddisfazione dell'insulto.
Il duca di Balbek tacevasi sempre.
Lo sguardo del principe di Lavandall pietrificava a sua volta il dottore di Nubo, e gl'impediva di far un segno, un gesto, un moto che potesse salvare il suo complice, o piuttosto la sua vittima.
Imperciocchè era desso che aveva consigliato quell'infamia al duca di Balbek, e Tob, che aveva visto costui preparare la carte, aveva poscia dato l'allarme.
Il principe di Storkine andava a procedere alla verifica delle carte, quando il duca, ritrovando infine la parola, balbutì di una voce estinta:
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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