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      Allora, Vitaliana, divenendo estremamente calma, riprese:
      - Signore, vengo dal ricevere una lettera di mia madre; ecco i capelli del mio figliuolo. Essi sono felici. Signor di Lavandall, siete voi padre?
      Il principe comprese il significato di quell'appello e rispose:
      - Signora, sì. Ma, per sventura, io non sono mica solamente padre, e vostro marito non è mica un gentiluomo ordinario. Egli è qui ambasciatore di un re, ed io rappresento un imperatore. Gli è dirvi, madama, che io non sono punto libero delle mie azioni; che io debbo riferire quest'avvenimento all'imperatore - il palazzo del di cui ministro è stato vituperato - e che debbo aspettare gli ordini da Pietroburgo.
      - Vi sarebbe egli permesso di presentire quegli ordini, signor principe?
      - No, madama. Però, io non oserei incoraggiarvi ad alcuna speranza.
      - Se mio padre vivesse, se io mi avessi un fratello, signore, non avrei bisogno di supplicarvi. Essi saprebbero il loro dovere: essi ucciderebbero il padre per non infamare il figliuolo! Io sono sola nel mondo; sono vedova, signor principe... Grazia, grazia pel mio figliuolo! bruciate quella carta.
      - Impossibile, madama. Voi dimandate il mio onore, la mia sentenza, la posizione della mia famiglia, per salvar l'onore di un... di vostro marito, madama - il quale non comprenderebbe forse neppure la magnitudine del sacrifizio che io farei.
      - Voi avete ragione - rispose Vitaliana dopo qualche istante di zittire. Un'ultima parola, allora. Principe, credete voi al pentimento?
      - Io non lo nego.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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