Il signor di Balbek soggiunse:
- Io non rilevo i vostri insulti, signor di Alleux. Voi parlate con lo stesso senza scrupoli con cui agite. Noi siamo entrambi allievi della Chiesa: ci intendiamo dunque. Io smentisco le indegne supposizioni cui avete costrutte sulle mie intenzioni - di trafficare, cioè, delle carte cui mi avete involate. Io non iscuso le mie colpe - di cui voi avete goduto i frutti nelle braccia della mia ganza. Vedrò, quando l'ora sarà opportuna, se conviene di battermi con voi o di premunirmi. Voi capite? Poichè voi chiamate impedire di contaminarsi ciò che il mondo chiamerebbe rubare, io mi permetterò di addimandare premunirmi ciò che gli ingenui addimanderebbero assassinare.
Il conte sorrise.
Il duca continuò:
- Mia moglie e mio figlio mi riguardano... ed all'uopo vi son perfino dei tribunali...
- Vostra moglie è vedova - gridò Adriano andando verso il duca. E se voi non vi rassegnate alla vedovanza sociale, cui le avete fatto, io m'incarico di far eseguire da Dio la sentenza del mondo. I forzati perdono i diritti civili.
E ciò dicendo chiudeva l'uscio del suo salone in faccia al duca.
Alle cinque, Adriano entrava nel gabinetto del principe di Lavandall.
- Signor conte - disse il principe di Lavandall - voi siete cugino della duchessa di Balbek. Venite altresì in nome di lei?
- No, signore. Io vengo nel nome mio proprio. La duchessa però mi à narrato le proposizioni cui le avete fatto, gli accomodamenti che avete stabiliti. So tutto, insomma.
- Ne sono lietissimo. Amo meglio trattar con un uomo - continuò il principe.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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