Io repugnava al vizio, ma non adoravo la virtù. Il delitto mi trovava inabile; l'onore improprio: ero incompleto dovunque. Le ganze erano mia moglie; mia moglie, il mio rimorso.
- Trista parte per una donna! - sclamò il dottore.
- Ond'è, che le donne se ne stancano. Or bene, io, il quale non sono che un istinto stroppiato da casuisti; io aveva trovato la mia direzione: perchè mia moglie, essendo il candore stesso, era una luce. Questa luce è estinta. Vitaliana non mi seduceva...
- Perchè la bianchezza non è un colore - ed i mariti sono tutti come gli Indiani: amano il tatuaggio.
- Io ò corso dietro al tatuaggio come gli altri. Però, in mezzo a quel diavolìo di forme, di spezie, e di colori, io sentiva che, se Vitaliana non era un'esca, era un riposo. Il riposo è l'aria vitale della nature incomplete: me l'ànno involata! Voi sapete come sono stato abbattuto dappertutto; in casa Lavandall, in casa Morella, in casa mia. Che volete voi che io mi divenga in questa situazione? Ricostruite col pensiero il vostro cuore a trent'anni, provate d'intendermi, e venite in mio soccorso.
- In che modo?
- Non importa come. Accetto tutto. Funzionario disonorato, padre senza figlio, marito senza sposa, signore povero... Che ò fatto io dunque perchè tante sventure si precipitino ad una volta sopra di me?
- Che avete voi fatto? - disse di Nubo sogghignando. Ma!... Avete avuto l'inaccortezza di trovarvi lì quando la valanga s'è scardinata.
- Non risaliamo più alle cause. Io non veggo oramai che questi quattro spettri: battermi, uccidermi, assassinare, bandirmi - abbandonando mia moglie nelle braccia di un amante.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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Indiani Vitaliana Lavandall Morella Nubo
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